QUESTA SETTIMANA: Tra nostalgia e trappole del greenwashing
Una pennellata di verde a prodotti e servizi è una strategia di marketing di crescente successo, che però non affronta i veri problemi dello sviluppo sostenibile. Il futuro è fatto di scelte complesse, ma non possiamo sfuggire rimpiangendo il passato.
di Donato Speroni
“Nostalgia” è la parola chiave dell’editoriale di fine anno dell’Economist. Che però ha un significato diverso nelle diverse zone del mondo. Per la Cina e l’India, per esempio, rappresenta l’aspirazione baldanzosa a ritornare a un passato glorioso, quando questi grandi Paesi erano fari di civiltà.
Al contrario, nel mondo più sviluppato, la nostalgia deriva solitamente da quello che Sophia Gaston, della Henry Jackson Society, definisce ‘un onnipresente e minaccioso sentimento di declino’. Quasi due terzi dei britannici pensano che si stava meglio in passato. Una analoga percentuale di francesi non si sente a suo agio nel presente. Il World happiness report di quest’anno riferisce che gli americani sono più scontenti. Ampie minoranze nei Paesi ricchi e in quelli in via di sviluppo sono convinte che i robot e l’automazione aumenteranno le diseguaglianze e incideranno sull’occupazione. Un sondaggio su 28 Paesi, fatto nel 2017, ha indicato che più della metà dei rispondenti si aspetta una stagnazione o un peggioramento delle proprie condizioni di vita. Solo il 15% dei giapponesi pensa che i figli staranno meglio di loro.
La nostalgia porta alla retrotopia, per usare la definizione di Zygmunt Bauman: l’illusione di ritornare al passato, annullando le sfide del presente. La scommessa dello sviluppo sostenibile è agli antipodi di questa visione: bisogna costruire consenso e fiducia su un futuro certamente diverso dal mondo di oggi, con una transizione certamente difficile, ma assicurando il benessere collettivo per tutti e prospettive positive per le future generazioni. [continua a leggere]
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