Mentre tornano ad aumentare gli omicidi, sui media i racconti di violenze fisiche, psicologiche e verbali sono pane quotidiano. Il rispetto e la solidarietà siano l’antidoto alla legge del più forte e alla cultura del nemico.
Di Flavia Belladonna
È morto solo, a causa dell’inciviltà di chi ha ucciso la sua stirpe, “l’uomo della buca”. Ultimo superstite di una tribù brasiliana estinta per mano di minatori illegali e altri invasori, viveva isolato da 26 anni scavando fosse per sopravvivere. La sua storia, raccontata in questi giorni sui media, suona così distante dalla nostra cultura, eppure la solitudine e la violenza che interessano molte persone nel nostro Paese sono estremamente vicine e attuali.
Che si parli di donne o uomini, comunità Lgbtq+ (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender), migranti, disabili, bambini o bambine, la violenza assume volti diversi riempiendo le cronache dei quotidiani. Dal recente caso di Alessandra Matteuzzi, la 56enne bolognese uccisa a martellate dal suo ex compagno nonostante le denunce per stalking sporte ai carabinieri, ad Alika, l’ambulante nigeriano morto per asfissia violenta in pieno centro a Civitanova Marche, dalla 12enne disabile picchiata selvaggiamente dai suoi coetanei per un video sui social al giovane Davide Ferreiro, vittima di un brutale pestaggio frutto di uno scambio di persona.
L’Italia è tra le economie più avanzate al mondo, eppure le pagine nere riempite da queste storie riflettono una direzione fatta di crescenti manifestazioni di inciviltà, in cui a vincere è il più forte, a dominare la sfiducia o la paura nei confronti dell’altro, a prevalere la chiusura verso la diversità. È questa la direzione che l’Italia vuole prendere e che lascerà in eredità ai propri figli, figlie e nipoti?
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