La tragedia ucraina non va sottovalutata, e l’ASviS ha preso posizione con chiarezza. Ma il mutato quadro politico non deve farci deflettere dall’impegno sulla crisi climatica, drammaticamente evidenziata dall’Ipcc.
di Donato Speroni
Non adesso, climatologi! Non sapete che c’è una guerra?
Da un articolo di Politico Europe, Luca Angelini coglie, per la Rassegna stampa del Corriere dello Sera,
quel che molti (anche nelle redazioni di giornali, siti e tv) devono aver pensato alla notizia dell’uscita, lunedì, del nuovo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), che periodicamente fa il punto sulla letteratura scientifica in materia di cambiamento climatico.
In realtà i due avvenimenti, guerra e clima, sono collegati. Come afferma Politico,
qualunque disordine creiamo nel mondo andrà a combinarsi col cambiamento climatico per indebolire la nostra capacità di rispondere all’uno e all’altro.
Dal bel pezzo di Angelini:
come dice Katharine Hayhoe, chief scientist della onlus Nature Conservancy, «il cambiamento climatico è il massimo moltiplicatore delle minacce. Prendete qualsiasi cosa che già sappiamo andar male nel mondo e vedrete che l’emergenza climatica sta rendendo più difficile porvi soluzione». È lo stesso motivo per cui François Gemenne, uno degli autori del rapporto Ipcc appena uscito, lamenta: «Penso ci sia ancora una tendenza, in molti governi e in molti politici, a considerare il cambiamento climatico un rischio tra i tanti. Dovremmo invece renderci conto che il cambiamento climatico è davvero una matrice di rischi e che tutte le questioni che saranno fondamentali nel 21° secolo — sviluppo, sicurezza, migrazione, salute — saranno trasformate dal cambiamento climatico».
Va anche detto che la seconda parte del nuovo Rapporto Ipcc, con le sue 3.500 pagine, cambia sostanzialmente il quadro. Al centro del documento c’è il problema dell’adattamento alla crisi climatica: l’impatto degli eventi meteorologici estremi, dell’inaridimento dei suoli, dell’innalzamento dei mari, fenomeni che eravamo abituati ad associare a un ipotetico futuro, se l’umanità non fosse riuscita a concordare politiche di mitigazione tali da contenere a due gradi centigradi, meglio a un grado e mezzo, l’aumento medio delle temperature. Il Rapporto Ipcc ci dice che le cose non stanno così: già oggi, con un incremento di 1,3 gradi, vaste aree del Pianeta stanno soffrendo. Se si arriverà a un aumento di 1,7°C-1,8°C (molto difficile da evitare) quasi metà della popolazione globale (cioè 3,6 miliardi di persone) sarà esposta a condizioni “potenzialmente letali”.
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