Do not come.
Non deve essere stato facile, per la vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris, pronunciare quella frase a Guatemala City: “Non venite. Continueremo a imporre il rispetto delle nostre leggi e a garantire la sicurezza dei nostri confini”. Harris è stata criticata dalla sinistra del Partito democratico per un atteggiamento che sembra in linea con i proclami trumpiani contro l’immigrazione illegale, ma ha avuto il coraggio di porre l’accento su una questione alla quale non si può sfuggire: nessuno Stato è in grado di gestire flussi irregolari e senza limiti.
Rispetto alle cifre effettive, può sembrare che una certa politica tenda a ingigantire il problema. Misure come quelle varate dal Parlamento danese, che prevede centri di raccolta in Nord Africa destinati ai richiedenti asilo, per non dare loro accesso in Danimarca neppure qualora la domanda venisse accolta, sono ingiuste e contrarie ai principi di rispetto dei diritti umani.
Però il problema rimane. Al confine tra Messico e Stati Uniti, nel Mediterraneo, lungo le rotte balcaniche, si avverte una pressione continua, che può solo aumentare nei prossimi anni, per una molteplicità di cause: guerre e violenze (si pensi al baratro nel quale stanno precipitando Messico e Centro America), ma anche crisi climatica e più banalmente la differenza di condizioni economiche tra Nord e Sud del mondo, che induce a una terribile verità: conviene mandare allo sbaraglio un figlio nella immigrazione clandestina, soprattutto dove di figli se ne fanno tanti, magari nella veste di “minore non accompagnato” al quale non si può negare il diritto d’asilo. Se quel ragazzo riuscirà ad arrivare in Europa o negli Usa, attraverso le rimesse mandate a casa potrà davvero modificare le condizioni di vita della famiglia nel luogo d’origine.
Gli esperti avvertono che in futuro l’inaridirsi di vaste aree africane, ma anche la diminuzione dei corsi d’acqua per il depauperarsi dei ghiacciai dell’Himalaya, potrebbe spingere centinaia di milioni di persone a spostarsi dalle loro terre. Del resto, un recente sondaggio Gallup ci dice che già oggi il 15% della popolazione mondiale se potesse cambierebbe Paese: un miliardo di persone alla ricerca di un’altra patria.
Serve visione e coraggio per affrontare questa situazione, con interventi sui luoghi d’origine, nella gestione dei flussi e nella modalità di accoglienza, ma non si può dire che questa visione e questo coraggio si ritrovino, né nell’opinione pubblica né nel dibattito politico italiano. Ricordiamo ancora una volta che l’Italia non ha ancora sottoscritto il Global compact for migration del 2018, ma dobbiamo anche dire che quell’accordo ha dato finora ben pochi frutti nel mondo.
Se poi concentriamo lo sguardo sul nostro Paese, sappiamo di dover affrontare un altro problema a medio – lungo termine, che non si può risolvere aprendo le frontiere a tutti, ma che può condannare l’Italia a una triste vecchiaia.