All’estero ci s’interroga sulle nuove figure manageriali necessarie per affrontare la complessità. In Italia siamo molto in ritardo anche nella formazione dei laureati: un fronte che vede l’ASviS intensamente impegnata.
di Donato Speroni
Armi, Lgbtq, evasione fiscale, religione, diversità, lavoro minorile, animali, droghe, gioco d’azzardo, alcolici, genere, salario equo, impatto ambientale, obesità, repressione politica, #MeToo, libertà d’espressione, classi sociali, disabilità, diritti dei minori, filiera etica, cambiamento climatico, aborto, immigrazione, matrimoni omosessuali, senzatetto...
Questo elenco, riportato dalla Rassegna stampa del Corriere della Sera, è tratto da un articolo di Alan Rushbridger su Quartz, nel quale si sostiene che le imprese per affrontare il futuro hanno bisogno non solo di un Ceo, Chief executive officer e di un Cfo, Chief financial officer, ma anche di un Cmp, un Chief moral philosopher, perché le questioni che si troveranno ad affrontare saranno sempre più complesse, coinvolgendo svariati problemi etici essenziali alla loro sopravvivenza.
Non è molto lontana da questa considerazione anche l’inchiesta di copertina dell’Economist “What it takes to be a Ceo in the 20s”, dedicata alle nuove figure di capi azienda nel prossimo decennio e che conclude nell’editoriale:
Infine, i nuovi boss devono avere chiaro che le imprese vanno guidate nell’interesse di lungo termine degli azionisti. Questo significa che non si può essere scostanti e miopi. Per esempio, ogni business deve avere il buon senso di affrontare i rischi del cambiamento climatico.
Il problema della complessità, che emerge con chiarezza quando si parla della guida delle aziende nelle sfide del futuro, riguarda però tutto il capitale umano: mentre in passato per il lavoro servivano capacità specifiche, che magari con qualche aggiornamento rimanevano le stesse per svolgere un mestiere per tutta la vita, oggi non solo i cambiamenti tecnologici si sono fatti più frequenti, ma è anche probabile dover affrontare mansioni totalmente diverse nell’arco degli anni lavorativi. Serve preparazione, ma anche capacità di adattarsi a situazioni nuove. Ce ne rendiamo conto nella preparazione dei nostri giovani? Con il bilancio demografico diffuso martedì 11, l’Istat ci ha detto che nel 2019 abbiamo toccato il record negativo nella nascita dei figli: bisogna risalire alla prima guerra mondiale, quando i potenziali padri erano al fronte, per trovare un livello di nascite così basso, 435mila nati vivi a fronte di 647mila decessi. [Continua a leggere]
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