È facile parlar male dell’Onu, ignorando il grande lavoro che svolge e che viene ignorato dai media. Si deve invece guardare ai tanti episodi che indicano un diverso approccio al futuro, anche in Italia.
di Donato Speroni
Ci sono tante ragioni per parlar male dell’Onu. Per esempio, Pierluigi Battista sul Corriere della Sera prende spunto dalla nomina di un magistrato iraniano in una commissione internazionale che si deve occupare della questione femminile per denunciare l’inutilità dell’Onu, un organismo internazionale nato per la difesa dei diritti umani e che invece è diventato nel tempo il piedistallo, o forse è meglio dire lo zerbino, dei regimi che dei diritti umani fanno strage continua.
Difficile dargli torto: quel magistrato è lo stesso che ha inflitto a Nasrin Sotoudeh, avvocato e militante dei diritti civili, la pena di trentotto anni di prigione e di centoquarantotto frustate. E si potrebbe continuare, denunciando gli apparati farraginosi del Palazzo di vetro, le missioni fallite, l’incapacità di affrontare le più scottanti crisi internazionali.
L’Onu è come un condominio: la qualità dei suoi lavori dipende dalla qualità dei condòmini, ma il suo ruolo è indispensabile per arrivare a decisioni collettive. L’alternativa al multilateralismo, di cui l’Onu è la massima espressione, è una rete di rapporti bilaterali, che finiscono col lasciare indietro i Paesi più deboli.
Prendiamo come esempio l’Agenda 2030, l’impegno sottoscritto dai 193 Paesi che ne fanno parte. Da quando fu firmato due anni fa, i rovesci non sono mancati, perché alcuni Paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, hanno preferito ritirarsi dagli impegni sul clima sottoscritti a Parigi, che fanno parte dell’Agenda, e su molti degli obiettivi quantificati al 2030 o addirittura al 2020 il mondo è in preoccupante ritardo. [continua a leggere]
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