L’Onu ci dice che la popolazione mondiale si stabilizzerà nella seconda metà del secolo. Ma senza politiche adeguate la dinamica demografica aumenterà gli squilibri. Anche in Italia la situazione sociale richiede misure coraggiose.
di Donato Speroni
Il 15 novembre di quest’anno la popolazione mondiale raggiungerà gli 8 miliardi. La previsione è contenuta nella nuova proiezione demografica dell’Onu, che conferma la vertiginosa crescita di questi decenni, ma ritocca sostanzialmente le stime per la seconda metà del secolo. È probabile che il ritardo di questa pubblicazione, a cadenza biennale, sia stato dovuto anche alla necessità di raggiungere il consenso tra i demografi. In sostanza, mentre la proiezione del 2019 prevedeva che la popolazione mondiale si sarebbe stabilizzata attorno agli 11 miliardi nel 2100, il nuovo calcolo prevede una stabilizzazione attorno ai 10,4 miliardi già dagli anni ’80, perché i tassi di fecondità scendono più rapidamente del previsto.
La dinamica demografica tenderà però ad accentuare le disuguaglianze tra le nazioni, perché è profondamente diversa nelle varie aree. A fronte di una popolazione del Nord del mondo che tende a invecchiare, ci sono Paesi, soprattutto in Africa ma anche in Asia, che continuano a crescere. Più di metà dell’aumento della popolazione proverrà da Repubblica democratica del Congo, Egitto, Etiopia, India (che già dal prossimo anno supererà la popolazione della Cina), Nigeria, Pakistan, Filippine e Tanzania. Tassi di fecondità elevati mal si conciliano con la lotta alla povertà, perché l’aumento del Prodotto interno lordo va a suddividersi tra un numero maggiore di bocche da sfamare. Come fa notare l’Economist, in Angola, dove la popolazione è cresciuta del 3% all’anno fin dagli anni ’70, la quantità di persone in povertà estrema, che guadagna meno di 1,90 dollari al giorno, è più che raddoppiata dal 2008 al 2018.
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