La popolazione di molti Paesi è in fermento per l’impoverimento della classe media e la mancata partecipazione alle scelte collettive. Le diseguaglianze, soprattutto intergenerazionali, sono gravi e trascurate anche in Italia.
di Donato Speroni
Dopo un’estate di grande attenzione ai temi della sostenibilità ambientale e in particolare alla crisi climatica, questo ottobre potrebbe passare alla storia come il mese critico per la sostenibilità sociale. In tutto il mondo, le popolazioni di numerosi Paesi sono scese in piazza o hanno manifestato in qualche modo insoddisfazione per la loro situazione economica e per il senso di mancata partecipazione alle scelte collettive.
Si tratta di “Rivolte senza leader”, perché, come scrive il Financial Times, “le nuove proteste vengono ispirate da hashtag e non più da capipartito”. Sotto questo titolo, La Repubblica ha tracciato una mappa mondiale delle proteste, dai gilet gialli francesi alla Catalogna, dall’Egitto al Libano, dalla Bolivia al Cile, per non parlare di Hong Kong e del crescente malessere in Russia. E si potrebbero aggiungere altri fatti, come il rovesciamento del governo e il ritorno del peronismo in Argentina.
In molti di questi casi, l’innesco è costituito dalle diseguaglianze, cioè dalla percezione che il sistema economico favorisce una minoranza e impoverisce la classe media. Sul Corriere della Sera, Umberto Alesina e Francesco Giavazzi hanno analizzato le caratteristiche delle diseguaglianze, concludendo che mentre sono diminuite quelle tra i Paesi ricchi e i Paesi poveri grazie alla globalizzazione (in 40 anni, per esempio, la differenza nel reddito pro capite tra un cittadino statunitense e uno indiano si è dimezzata: da 24 a 12 volte), sono nettamente aumentate le diseguaglianze all’interno di ciascun Paese, in particolare a favore del top 1%, che negli Stati Uniti nello stesso periodo ha raddoppiato i propri redditi rispetto al resto della popolazione, passando dal 10 al 20% del totale dei redditi pro capite. [Continua a leggere]
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