Glasgow è un grande “work in progress”, deludente ma non inutile. Sulla transizione ecologica in Italia c’è una grande confusione, che soltanto il presidente del Consiglio può risolvere con la proposta di un piano dettagliato.
di Donato Speroni
La crisi climatica ha dominato la scena in questa settimana, grazie al vertice del G20 e all’apertura della Cop 26 di Glasgow. La si può raccontare da tanti angoli diversi, attingendo alle cronache. Si può cominciare per esempio dalle critiche del Fatto Quotidiano che accusa i leader mondiali di aver dato un contributo sostanziale alle emissioni, spostandosi con i loro jet privati, anche se non ha tutti i torti Massimo Gramellini, che fatica a immaginare Joe Biden seduto su un jet di linea “vicino al finestrino accanto al ragionier Bianchi”. Oppure si può partire dal costo medio di 698 dollari per notte per un appartamento a Glasgow, secondo i dati Airbnb rilevati da Bloomberg Green, raccontando la storia di Mustafa Gerima, un biologo ugandese che avrebbe voluto riferire nella città scozzese della scomparsa del karité, pianta alimentare importante per l’Africa, ma che non ha potuto fare il viaggio sia per i costi proibitivi che per la mancanza di permessi.
Possiamo anche concentrarci sulla figura di Narendra Modi, il primo ministro indiano che ha scioccato tutti con l’annuncio che l’India non raggiungerà la parità climatica prima del 2070. Della politica di Modi si possono criticare tante cose, a cominciare dagli avalli al fanatismo hindu contro gli esponenti delle altre religioni, ma non serve colpevolizzarlo per lo scarso apporto alla battaglia climatica. Se tutti noi consumassimo come una famiglia media indiana, l’Earth overshoot day sarebbe il 31 dicembre anziché il 29 luglio: l’umanità cioè utilizzerebbe le risorse prodotte dalla Terra nell’anno senza impoverire il pianeta. È comprensibile che Modi voglia far crescere il suo Paese e spetta al consesso mondiale trovare il modo di aiutare l’India a farlo inquinando di meno.
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