È un momento di svolta sulla spinta di importanti innovazioni, ma anche del cambiamento politico Usa. Si delinea una strategia per il clima e si affrontano anche i grandi temi sociali. I cento giorni cruciali per il nostro Paese.
di Donato Speroni
In questi tempi cupi, suona strana l’inchiesta di copertina dell’Economist che, seppure con un punto interrogativo, annuncia “The roaring 20s?”, il possibile inizio di un “decennio ruggente”. Secondo il giornale inglese, il vettore di questa grande ripresa sarà la tecnologia.
C’è la possibilità realistica di essere alla vigilia di una nuova età dell’innovazione, che migliori gli standard di vita, specialmente se i governi aiuteranno la fioritura delle nuove tecnologie.
Dopo il grande salto di efficienza dovuto all’introduzione del personal computer, negli anni 2000 l’impatto della tecnologia sulla produttività è diminuito, anche se ci sono stati progressi importanti, per esempio nella lotta contro il cancro. Ma niente che fosse tale da provocare un nuovo balzo degli indici di produttività: tuttavia, ragiona il giornale inglese, ci sono diversi motivi per essere ottimisti. Innanzitutto, il progresso stesso: in molti campi, dalla biologia all’intelligenza artificiale, si registrano significative innovazioni. La seconda ragione è l’aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo (R&D) da parte sia degli investitori privati, sia di molti governi, che hanno “risposto con entusiasmo” a questi progressi, dalla diagnostica medica alla logistica, dalla microbiologia ai semiconduttori. L’entusiasmo si è esteso anche ai veicoli elettrici, tanto da trasformare Elon Musk, il fondatore di Tesla, nell’uomo più ricco del mondo. La terza ragione è la risposta al Covid-19: non solo l’adozione di nuove soluzioni digitali, dallo smart working all’e-commerce, da parte di una grande massa di utenti, ma anche una nuova spinta in altri settori. Per esempio, le innovazioni nella telemedicina e nell’automazione aziendale, che non scompariranno con la fine della pandemia.
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