Un futuro sostenibile dipende in larga misura dal ruolo delle imprese e degli Stati. Ma sulle imprese si discute da 50 anni, mentre per lo Stato gli interrogativi, in Italia, riguardano soprattutto la sua efficienza.
di Donato Speroni
Prima della crisi pandemica, nelle sedi internazionali, per esempio al World economic forum di un anno fa, già si discuteva di una nuova fase del capitalismo come di un elemento necessario per mettere le nostre economie in grado di affrontare i problemi del ventunesimo secolo. Infatti, negli ultimi 40 anni il cosiddetto “capitalismo neoliberista” ha ottenuto grandi risultati, portando fuori dalla povertà estrema miliardi di persone, ma, una volta applicato ai Paesi emergenti, si è dimostrato chiaramente insostenibile sul piano ambientale e incapace di risolvere i problemi delle disuguaglianze. Tensioni sociali, crisi climatica, scontro con i limiti planetari rendono evidente la necessità di un cambio di approccio. È qui che la discussione sul nuovo modello di sviluppo può beneficiare dell’Agenda 2030, cioè dell'accordo sottoscritto da tutti i Paesi del mondo cinque anni fa, che delinea attraverso i suoi 17 obiettivi e i suoi 169 target il mondo che vorremmo nel 2030. L’Agenda è stata messa al centro delle politiche europee dalla nuova Commissione guidata da Ursula von der Leyen. In questo senso, l'Europa, con le diverse proposte formulate dalla Commissione e con il Next generation Eu, si candida a proporre un nuovo modello di sviluppo al resto del mondo. Invece di adottare quelli anglosassoni sviluppati, per esempio all'inizio degli anni ‘80 sul piano politico da Reagan negli Stati Uniti e Thatcher in Inghilterra, forse l'Europa può fare scuola. Non a caso, quando ha preso l'impegno alla decarbonizzazione nel 2050 ha scatenato in qualche modo una corsa ed è stata seguita dalla Cina, dal Sudafrica dalla Corea del Sud, dal Giappone. Quindi è possibile cambiare.
Nell’intervista condotta da Loredana Teodorescu e pubblicata sul sito dell’Istituto Sturzo, il portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini pone la questione del “nuovo modello di sviluppo” di cui già si avvertiva la necessità prima del Covid, ma che è divenuto ancor più necessario per delineare un futuro sostenibile dopo la pandemia. Per definire questo modello è necessario riesaminare le caratteristiche del capitalismo soprattutto sotto due aspetti: le finalità dell’impresa e il ruolo dello Stato.
|