Quasi nessuno ormai nega il “global warming”, ma le ricette per affrontarlo fanno registrare forti divisioni, tra chi è pronto a cambiamenti profondi e chi rinvia alle tecnologie del futuro. Il ruolo dell’Europa.
di Donato Speroni
La lotta contro la crisi climatica sta entrando nel vivo, perché è ormai evidente che per contenere l’aumento della temperatura globale servono misure drastiche e urgenti. Non solo: come in un domino, ci si rende conto che ogni decisione (e talvolta anche l’assenza di decisioni) ci mette di fronte a effetti imprevisti, che costringono ad affrontare la questione nella sua globalità. Su Futuranetwork questa settimana abbiamo trattato il tema della carenza di metalli e altri minerali necessari per i pannelli solari e per le batterie, elementi indispensabili allo sviluppo delle energie rinnovabili. Ma il maggior costo dell’energia annunciato per i prossimi mesi in Italia, se in parte può essere spiegato con l’aumento del prezzo di gas e petrolio conseguente alla ripresa economica post Covid, ha anche cause strutturali legate all’aumentato costo delle emissioni di anidride carbonica.
Questa situazione ha come effetto l’accentuarsi delle divisioni e dei contrasti. Proviamo a enunciarne qualcuna. Il primo conflitto è tra chi ritiene che si debba agire con urgenza e chi invece pensa che si possa non fare nulla o comunque rinviare le decisioni più stringenti. Sono ormai pochi i veri “negazionisti”, i “no warming” che non ammettono che il Pianeta si stia riscaldando a causa dell’aumento dei gas serra nell’atmosfera, in quantità mai viste da migliaia di anni. Semmai, sono presenti nel dibattito altre due componenti. La prima è quella dei cosiddetti “tecnottimisti”, che confidano nella evoluzione tecnologica per risolvere problemi che è molto costoso affrontare adesso. Dimenticano però che la tecnologia non basta: già oggi, con le conoscenze attuali, potremmo dare un deciso impulso verso le energie rinnovabili in tutto il mondo, ma questa scelta si scontra con considerazioni economiche e sociali: abbandono di impianti di produzione di energia elettrica da fossili, magari non ancora ammortizzati e tuttora in molti casi meno costosi delle rinnovabili; crisi per intere economie di Paesi il cui Pil deriva in larga misura dalle riserve di petrolio e di gas, e di milioni di lavoratori che da queste industrie traggono il loro sostentamento. Da oggi al 2050, anno limite che buona parte del mondo si è posto per azzerare le emissioni, la tecnologia farà certamente passi da gigante. Ma già con le conoscenze attuali si potrebbe fare molto, a condizione di avere presente la globalità del problema e la necessità di cooperazione internazionale per venire incontro ai problemi dei Paesi in maggiore difficoltà nella transizione, a cominciare da quelli in via di sviluppo che devono comunque crescere nei loro consumi e quindi anche nei fabbisogni energetici.
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