Il doveroso sostegno a chi aiuta

10.07.2020 10:01


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Chiara Luti


Corriere della Sera
Editoriale

Il doveroso sostegno a chi aiuta

Senza questa specie di esercito generoso della salvezza,l’Italia avrebbe faticato ancora di più di quanto abbia patito a superare la fase più crudele dell’emergenza Covid

di Carlo Verdelli

Cura Italia, Rilancio Italia, e adesso Corri Italia. Avanti tutta, disordinatamente. E dimenticando per la fretta di ridare un po’ di ossigeno a chi potrebbe aiutare davvero a curare le ferite di questo Paese, evitando una frattura che pare inesorabile tra chi ce la farà e chi sembra destinato a perdersi. C’è una parte di società, neanche piccolissima, attrezzata per riuscire nell’impresa, o almeno per tentarla. Il problema è che finora nessuno le ha dato l’aiuto di cui ha un disperato bisogno per non venire cancellata dall’ondata impetuosa del virus. È l’Italia che da sempre si prende cura dell’Italia, specie quella trascurata. La nostra protezione sociale, in servizio permanente ed effettivo. Chi la soccorre perché continui, specie adesso, a soccorrerci?

Il nome non aiuta: terzo settore. Suona burocratico, fa pensare allo spicchio di un parcheggio o di uno stadio, rimanda a qualcosa di asettico che riguarda altro e altri. E invece è il sistema circolatorio che tiene in vita questo Paese, silenziosamente, nascostamente, con capillari che arrivano ovunque, anche dove lo Stato è arretrato, si è arreso o non ha mai veramente combattuto. È il vasto mondo del volontariato, previsto e incoraggiato dall’articolo 118 della Costituzione. Questo giornale gli dedica settimanalmente un inserto, «Buone notizie», raccontando il bene quotidiano che dispensano cooperative, associazioni, fondazioni, enti di varia umanità.

Lo dispensano a vantaggio di chi è in svantaggio, a protezione di chi è insidiato, a promozione di chi meriterebbe un presente e soprattutto un futuro migliore. Anziani soli, malati psichici, disabili, persone che non possono permettersi la sanità privata ma che faticano a godere del diritto elementare di quella pubblica; e ancora, poveri e nuovi poveri da virus, il crescente popolo degli invisibili (migranti, braccianti, rider, colf, tutti senza tutele e quindi fuori dai margini della convivenza civile) ma anche ragazzi delle scuole e delle università bisognosi di nuove occasioni e stimoli, di sport come di cultura. E la tutela dei nostri beni primari, il mare, le acque, l’agricoltura a misura d’uomo, il patrimonio delle nostre bellezze artistiche e naturali. Prendersi cura di tutto questo, di tutti questi. Specialmente ora, con un autunno alle porte che annuncia rigori che nemmeno il grande inverno.

Terzo settore presuppone che ce ne siano un primo e un secondo. Il primo è lo Stato, con il suo apparato di istituzioni e di doveri verso i cittadini. Il secondo è il Mercato, inteso come impresa e ricerca del profitto. Il terzo è una specie di enorme ombrello, sotto il quale si muovono operose 350 mila organizzazioni (55 mila nella sola Lombardia), quasi un milione di addetti a stipendio e tra i 5 e i 6 milioni di volontari, e che ha come obiettivo comune quello di riempire i buchi e i vuoti che il Primo e il Secondo settore hanno scelto, più o meno consapevolmente, di rinunciare a riparare.

Senza questa specie di esercito generoso della salvezza, l’Italia avrebbe faticato ancora di più di quanto abbia patito a superare la fase più crudele dell’emergenza Covid. Ma anche l’immensa rete della solidarietà è uscita smagliata e impoverita dalla lunga trincea contro le raffiche della pandemia: stessi costi, ma chiusura dei flussi di ricavi, dalla raccolta fondi alle donazioni, dal sostegno degli enti locali all’impossibilità di organizzare eventi per autofinanziarsi. Rammendare, e da subito, quella rete dovrebbe essere una delle prime voci nell’agenda di governo. Non risulta che lo sia. Non è una delle priorità, pur essendolo. Finora ha ricevuto 100 milioni di euro (più 120 per il Sud), a fronte di una richiesta di un miliardo, e senza avere ancora ottenuto il credito agevolato delle banche garantito dallo Stato, concesso invece, almeno sulla carta, alle imprese di profitto.

Quattro mesi e mezzo di Covid, e l’Italia non sa più a chi dare i resti. Quindi li sparpaglia, con un governo che per varare l’ultimo Decreto Semplificazione, o «Sblocca Paese», si è dissanguato in una delle sue ormai celebri ed estenuanti sedute fiume, dalle 23 alle 4 del mattino, orario continuato e «salvo intese». La montagna non ha partorito il topolino. Anzi, dall’ultimo Consiglio dei ministri è uscito un maxi programma di 130 Grandi Opere Strategiche che dovrebbero trasformare l’Italia in un gigantesco cantiere ad alta velocità. Salvo intese, appunto, il che significa che quello che il premier Conte presenterà nel suo tour europeo è un piano passibile di revisioni, riduzioni, modifiche, cancellazioni, correzioni a matita rossa o blu. Ma bisogna correre, l’importante è partire, dare segni forti che contrastino l’impietoso e costante flagello di previsioni, dalla contrazione del Pil dell’11,2% (la peggiore flessione di tutta l’Ue) al rischio di cancellazione entro l’anno di 1 milione e mezzo di posti di lavoro (500 mila sono già spariti) e di un’azienda su tre.

Se l’esercito del bene comune verrà smantellato, oppure messo in condizioni di non poter ricominciare il suo paziente lavoro di ricucitura di un Paese sempre più strappato, il saldo che la crisi ci presenterà non sarà socialmente affrontabile. Prima della devastazione da virus, il cosiddetto Terzo settore, con 74 miliardi di euro, rappresentava da solo più del 4 per cento del Pil nazionale, uno dei pochi segmenti in crescita su tutte le linee: impatto economico, occupazionale, capillare presenza sul territorio. Basti pensare all’opera di supplenza a fronte delle carenze del sistema sanitario, da poco denunciate dalla Corte dei Conti, con vaste parti della popolazione rimaste «senza protezioni adeguate». Loro non se ne sono andati, li hanno aiutati con presidi medici, hanno fatto da collante tra uno Stato lontano e bisogni vicini e pressanti. Così per i centri di ricovero degli anziani. Così dopo il deserto di assistenza creato ad arte dai decreti sicurezza di Salvini, tuttora in pieno vigore: cancellare i sistemi di protezione per richiedenti asilo e rifugiati non cancella né i richiedenti né i rifugiati. Li condanna a perdersi in un altro deserto. Se non è successo del tutto, il merito è del popolo infaticabile dell’economia sociale e solidale, gente che è riuscita, giorno dopo giorno, a conquistare uno dei beni più preziosi e oggi più rari: la fiducia dei cittadini. Una sola goccia di questo patrimonio vale almeno una delle Grandi Opere Strategiche. O anche due o tre.

8 luglio 2020 (modifica il 8 luglio 2020 | 21:39)

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