LA FORZA DEI NUMERI CONTRO I NUOVI “PADRONI DEL MONDO”
Città della Spezia 16 novembre 2025

Roma, manifestazione per la pace del 21 giugno 2025 (foto Giorgio Pagano)
La legge finanziaria in discussione in Parlamento comporta per il nostro Paese un aumento vertiginoso della spesa militare: più 12% nell’ultimo anno e più 60% negli ultimi dieci anni. Con gli impegni presi in sede NATO (portare la spesa militare al 5% del PIL) e in sede europea (ReArm Europe), l’Italia deve destinare centinaia di miliardi di euro al riarmo. Ma queste risorse non ci sono. Si possono trovare solo in due modi, entrambi a carico delle persone più deboli: sottraendole alla sanità, alle pensioni, alla scuola, al lavoro, all’ambiente e aumentando il debito pubblico. I Paesi europei possono cioè – anzi, devono – indebitarsi per il riarmo. Non possono fare debito per il welfare. Non a caso il nostro governo dice ai giovani: fatevi le pensioni con i grandi fondi. E nello stesso tempo stanzia risorse per le industrie belliche che sono sempre più di proprietà dei medesimi grandi fondi.
Avete capito quello che è successo e che sta succedendo? Ci hanno tagliato il welfare e hanno costretto chi di noi ha il risparmio privato a farselo gestire dai fondi. Ora aumentano sempre più le spese militari a favore di aziende i cui principali azionisti sono gli stessi proprietari dei fondi che intercettano il nostro risparmio dei fondi pensione o delle polizze della sanità privata. Questo ulteriore riarmo provocherà a sua volta un’ulteriore ritirata dello Stato sociale, trasformato in Stato di guerra – dal welfare al warfare –, e obbligherà altri milioni di risparmiatori a dotarsi di polizze di previdenza e sanità private, prontamente fornite dai soliti fondi.
Sono i nuovi “padroni del mondo”, come li ha definiti lo storico Alessandro Volpi: Black Rock, Vanguard, State Street e gli altri. E’ in atto un formidabile trasferimento di soldi dalle classi sociali basse a quelle alte. I nostri soldi vanno sempre più ai fondi che gestiscono il risparmio privato e che sono proprietari delle industrie armiere. Le nostre classi dirigenti non rappresentano nulla se non queste forze: sono al servizio dei “padroni del mondo”.
Le domande che dobbiamo farci sono due. La prima è se, continuando così, avremo ancora un welfare. La risposta è chiara. Facciamo l’esempio della sanità: in questi anni la sanità pubblica è stata definanziata e la percentuale di spesa sul PIL è scesa dal 7% al 5,8%. Mancano infermieri e medici. Non ci sono risorse per la medicina preventiva, per la non autosufficienza e per l’edilizia sanitaria. Nel contempo è cresciuta la sanità privata, un business da decine di miliardi di euro che ha favorito le grandi società finanziarie. E che ha provocato feroci disuguaglianze: milioni di italiani non si curano più perché non hanno i soldi per gli esami e le terapie. Ma la salute è un diritto, non un modo per fare affari!
La seconda domanda è se, continuando così, avremo ancora un’industria. Anche in questo caso la risposta è chiara. L’industria europea, in particolare le due più forti: quella tedesca e quella italiana, in questi anni sono collassate. Gran parte della base produttiva perduta non tornerà più. Pensiamo alla fu Fiat: il 2025 dovrebbe chiudere sotto i 310 mila veicoli, ai livelli del 1956 (non è un errore: abbiamo perso 70 anni di volumi produttivi nell’auto!). La tragedia sanitaria e industriale del gruppo Ilva e il probabile addio dell’Italia al ciclo integrale dell’acciaio sta lì a spiegarci il punto drammatico a cui siamo arrivati.
Un altro punto deve essere chiaro: la prevista conversione bellica di un pezzo del tessuto produttivo non servirà a raddrizzare la rotta. Non è vero che l’economia di guerra generi posti di lavoro e crescita economica. Per ogni miliardo di euro speso nel settore delle armi il ritorno sull’economia è di 741 milioni di euro e 3.160 occupati. Mentre per la transizione ecologica il ritorno economico è di 1 miliardo e 900 milioni e si creano 9.960 posti di lavoro. Il triplo del settore militare. L’economia di guerra crea poca occupazione e poca crescita. A guadagnarci dall’economia di guerra sono i proprietari delle grandi multinazionali che producono le armi, che hanno avuto rialzi azionari stratosferici. Si stanno disegnando un’Europa e un’Italia dei prossimi decenni senza industria o con industria debolissima: in un mondo in cui avere un’industria distingue i Paesi indipendenti da quelli che, alla lunga, sono destinati a fornire al resto del mondo soprattutto manodopera e luoghi di vacanza.
Ci stiamo armando contro un nemico con cui potremmo accordarci se solo riscoprissimo la nostra vocazione diplomatica e negoziale. Tra l’altro, mentre ci armiamo, dichiariamo esplicitamente di non voler mandare un solo soldato al fronte: un esempio di quanto il fariseismo sia oggi il tratto tipico dominante. Stiamo preparando la guerra e creando nel contempo una bolla finanziaria, perché non è certo con il riarmo che si rilancia l’economia.
La nostra città, che avrà qualche beneficio immediato dalla bolla, deve stare molto attenta a non farsene inebriare e a compromettere così il suo futuro: la sua classe dirigente non deve sprecare aree decisive per un nuovo modello di sviluppo e dimenticare che le nostre industrie possono investire anche sul civile.
Più in generale, l’alternativa è una sola: emanciparci dalla finanziarizzazione e dai “padroni del mondo” che stanno soffiando sul fuoco, rifondare le condizioni di una spesa pubblica sostenibile con la riforma fiscale, rilanciare il welfare e l’industria e riconquistare una nostra autonomia nel mondo, dialogando e riprendendo i rapporti economici con tutti: gli USA, ma anche il mondo emergente, quello della Cina e dei Brics.
E’ un’alternativa chiara, anche se non si vede ancora chi possa interpretarla politicamente. Ma intanto sono in campo il movimento pacifista e quello dei lavoratori, con lo sciopero del 12 dicembre.
Leggiamo Alessandro Volpi:
“La CGIL lancia l’ipotesi di una patrimoniale con aliquota dell’1% per i patrimoni superiori ai due milioni di euro, che significa coinvolgere poco meno di 500mila contribuenti su 43 milioni. Di fronte a questa proposta, necessaria per provare a salvare almeno un pezzo di servizi pubblici, si è alzata una schiera di difensori dei super ricchi ben oltre Meloni, che giura un’ostilità massima alla patrimoniale intesa come il male assoluto; compaiono Antonio Tajani che minaccia sfracelli, l’ineffabile Matteo Renzi che ‘mette in guardia gli alleati dal parlare di tasse’, la sbalorditiva Elly Schlein che si dichiara favorevole a condizione che si tratti di una ‘tassa europea’ (nonostante risulti alquanto improbabile che i 27 Stati membri raggiungano l’unanimità necessaria alla sua approvazione) e un tiepido Giuseppe Conte.”
I numeri dovrebbero svegliarci! Possibile che possa passare una posizione come quella della Meloni? I 43 milioni di contribuenti che tengono in piedi l’Italia cosa aspettano a capire che questa posizione è apertamente rivolta alla difesa dell’1% più ricco della popolazione? Che l’obiettivo è aumentare il carico fiscale complessivo a loro destinato, smontare lo Stato sociale, avvicinare la guerra?
Giorgio Pagano

Firenze, manifestazione per la pace del 26 ottobre 2024 (foto Giorgio Pagano)
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