QUESTA SETTIMANA: Dobbiamo costruire una nuova etica condivisa
Per non cadere nella retrotopia abbiamo bisogno di valori basati sul concetto di giustizia tra le generazioni. Alcune scelte in Italia si muovono nella direzione giusta, ma l’ottica privilegia ancora il breve termine e non guarda al futuro.
di Donato Speroni
L'altro giorno sono andato a guardare che cosa vuol dire etica. L’etica è quella branca della filosofia che studia i fondamenti razionali che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status deontologico, ovvero distinguerli in buoni, giusti, leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti ingiusti, illeciti, sconvenienti o cattivi secondo un ideale modello comportamentale. Dunque, non in base al buonismo, ma in base alla razionalità. Ebbene, disponiamo oggi di un'etica condivisa per lo sviluppo sostenibile? Purtroppo no, così come non abbiamo un'etica condivisa sulla gestione delle migrazioni, così come non abbiamo un’etica condivisa nella gestione della globalizzazione. Ecco dove si infila la retrotopia. E allora non bastano le politiche, abbiamo bisogno di costruire questa etica, basata sul concetto di giustizia tra generazioni, perché lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che consente alla generazione attuale di soddisfare i propri bisogni senza pregiudicare il fatto che le future generazioni facciano altrettanto e questo principio noi lo abbiamo violato.
Invitato a tenere una lectio magistralis in apertura del convegno nazionale di Bologna del Partito democratico (vedi il video e le slide del suo intervento), il portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini ha invitato i partecipanti ad andare al di là dei discorsi contingenti per affrontare il tema della costruzione di nuovi valori. Per raggiungere una modalità di sviluppo che sia davvero sostenibile non è infatti sufficiente varare qualche misura “verde” (peraltro apprezzabile, come lo stesso portavoce dell’ASviS ha sottolineato nel suo editoriale di due settimane fa), ma bisogna rivoluzionare il modo di pensare e le priorità stesse dei comportamenti e della vita collettiva.
Altrimenti si cade appunto nella retrotopia che, secondo la definizione di Zygmunt Bauman, è la scelta politica che si verifica quando
le speranze di miglioramento, che erano state riposte in un futuro incerto e palesemente inaffidabile, vengono reimpiegate nel vago ricordo di un passato apprezzato per la sua presunta stabilità e affidabilità. Con un simile dietrofront il futuro, da habitat naturale di speranze e aspettative legittime, si trasforma in sede di incubi. [Continua a leggere]
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