QUESTA SETTIMANA: Per fare, occorre discutere e anche dividersi
L’esempio della Germania, che ha preso sul serio il Summit mondiale sul clima. Anche le proposte dell’ASviS comportano scelte difficili, ma lo sviluppo sostenibile non è fatto di chiacchiere. I buoni esempi dalle imprese italiane.
di Donato Speroni
Dire che i tedeschi fanno le cose sul serio è una banalità. Guardare però il modo in cui Angela Merkel si sta preparando ai confronti internazionali della prossima settimana può essere molto istruttivo. Lunedì 23, la Cancelliera interverrà (come farà anche il nostro primo ministro Giuseppe Conte) al Climate Action Summit di New York, su invito del Segretario generale dell’Onu António Guterres che ha chiesto ai leader mondiali di
presentare piani concreti e realistici da avviarsi entro il 2020, in linea con l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra del 45% nel prossimo decennio per arrivare a zero emissioni entro il 2050.
Per la Germania (così come per molti altri Paesi industrializzati) non è un impegno banale. Come ricorda, citando la Frankfurter Allgemeine Zeitung, la Rassegna stampa del Corriere della sera, sempre molto attenta ai temi ambientali,
sono soprattutto due settori a fare della Germania uno dei Paesi più inquinanti (quanto a gas serra) d’Europa: il traffico e il riscaldamento domestico. Il livello di CO2 pro capite nel 2016 si attestava sulle 8,9 tonnellate, contro le 7 tonnellate del Regno Unito e le 5,2 tonnellate della Francia (e le 6,7 tonnellate dell’Italia, aggiungiamo noi).
La riduzione delle emissioni incontra però forti resistenze: Merkel doveva fare i conti con l’alleato bavarese Csu, sempre contrario a spendere soldi per il clima. Il suo stesso partito, la Cdu, si opponeva all’ipotesi di una tassa sulle emissioni di CO2.
La Cancelliera, però, non poteva andare a New York a mani vuote. Alla fine, il suo partito ha messo a punto un progetto basato su un sistema di certificati onerosi a carico di chi vende combustibili fossili. In questo modo la “carbon tax” non ricadrà direttamente sui consumatori, ma sulle multinazionali del petrolio e sui produttori di carbone. È facile obiettare che il sistema finirà inevitabilmente per ribaltarsi sul prezzo finale e forse il progetto non è gran cosa rispetto al “Piano verde” che ci si aspettava dai governanti tedeschi, però la vicenda stimola alcune riflessioni. [Continua a leggere]
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