Papa Francesco e l’Africa, un legame speciale

30.04.2025 11:29

La geografia della speranza

Il primo grande abbraccio all’Africa avviene nel novembre 2015, quando Francesco visita tre Paesi emblematici: Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana. Quest’ultima, in particolare, è teatro di un gesto che rimarrà nella storia del pontificato: l’apertura della Porta Santa del Giubileo della Misericordia nella cattedrale di Bangui, in anticipo sull’apertura ufficiale a Roma. Un gesto carico di significato, compiuto in un Paese segnato da violenze interreligiose, per ribadire che anche nelle periferie più sofferenti la misericordia può fiorire come risposta all’odio.

Nel marzo 2019, il Papa si reca in Marocco, su invito di re Mohammed VI. In un contesto a maggioranza musulmana, Francesco sottolinea l’importanza del dialogo interreligioso e della libertà religiosa. L’incontro tra le due figure religiose – il capo della Chiesa cattolica e il “Comandante dei credenti” – rappresenta un momento di alto valore simbolico. Il Pontefice ribadisce che la fede “non può mai essere imposta con la forza” e lancia un forte appello per la tutela dei migranti, spesso in transito proprio dal Nord Africa: “Non si tratta solo di numeri, ma di volti, storie, sogni e speranze”.

Nel 2017, Papa Francesco si reca anche in Egitto, terra dalle profonde radici cristiane e al centro di delicati equilibri geopolitici. A Il Cairo, partecipa a una conferenza internazionale sulla pace promossa da Al-Azhar, la più alta istituzione dell’Islam sunnita. In quel contesto, il Papa denuncia con forza ogni forma di fondamentalismo, ricordando che “la violenza è la negazione di ogni religione autentica”. Anche qui, la sua presenza diventa segno di prossimità e apertura: un ponte tra fedi diverse in nome della dignità dell’uomo.

Otto anni dopo il primo viaggio, nel febbraio 2023, Francesco torna nell’Africa subsahariana per visitare la Repubblica Democratica del Congo e il Sud Sudan. In Congo, denuncia con forza lo sfruttamento delle risorse naturali da parte di potenze straniere e locali, affermando: “L’Africa non è una miniera da sfruttare o una terra da saccheggiare”. È un monito rivolto non solo ai leader politici e alle multinazionali, ma anche alla coscienza collettiva della comunità internazionale.

In Sud Sudan, Paese martoriato da una lunga guerra civile, il Papa compie un gesto storico e senza precedenti: si reca in visita insieme all’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e al moderatore della Chiesa presbiteriana di Scozia, Iain Greenshields. È una testimonianza di ecumenismo concreto, un appello alla riconciliazione e all’unità rivolto a una nazione profondamente divisa. “Siamo qui come pellegrini di pace”, dice, in uno dei passaggi più toccanti del viaggio.

 

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