Quest’anno si decidono i nuovi traguardi sul clima. L’Europa prepara una normativa più stringente e alla Cop 26 si vedrà l’effettiva portata dei programmi mondiali di mitigazione. Ma i cambiamenti individuali sono troppo lenti.
di Donato Speroni
I leader dell’Europa sono soddisfatti. Dice il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans:
Con la legge sul clima abbiamo raggiunto un accordo ambizioso che segna il rafforzamento della posizione nel mondo della Ue come leader nella lotta contro la crisi climatica e che servirà da guida ai politici per i prossimi 30 anni, forgiando il rilancio verde della Ue e garantendo una transizione verde socialmente giusta.
E l’eurodeputata Jytte Guteland, la socialdemocratica che a nome dell'Europarlamento ha negoziato con il Consiglio fino a chiudere l'accordo all’alba del 21:
Era giusto che ci presentassimo al vertice con gli Usa da leader: sul clima, l'Ue non sarà il fratellino minore, ma la sorella maggiore di Washington.
Oggetto di tanta soddisfazione è l’accordo per varare una legge europea sul clima che prevede un abbattimento delle emissioni del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, per poi arrivare alla carbon neutrality entro il 2050. Su questo iter dovrebbe vigilare un nuovo organismo, lo European Scientific Advisory Board, composto da 15 esperti nominati per un periodo di quattro anni, con il supporto dell’Agenzia europea dell’ambiente.
Non tutti però sono soddisfatti di questo risultato. Per l’ambientalista Greta Thunberg, “la Ue ci inganna sui numeri e ci ruba il futuro”. Anche i verdi europei parlano di un accordo poco ambizioso. In effetti diversi aspetti devono ancora essere chiariti. Innanzitutto, si tratta di un impegno globale per l’intera Europa dei 27, che non garantisce il raggiungimento dell’obiettivo da parte dei singoli Stati: si può prevedere la riluttanza di alcuni Paesi dell’Est Europa più dipendenti dal carbone, a cominciare dalla Polonia.
Nello stesso giorno di questo accordo, la Commissione ha anche diffuso un pacchetto di misure orientate a favorire il finanziamento dell’economia verde. Tra queste, un “Taxonomy climate delegated act”, che specifica meglio la tassonomia varata lo scorso anno per definire quali investimenti possono essere effettivamente considerati utili per la transizione ecologica. Il documento però rinvia a una successiva definizione su due questioni scottanti: il ruolo del gas naturale e quello dell’energia nucleare.
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