Il “conto salatissimo della sostenibilità mancata”ci sta piombando addosso. Servono scelte lucide e coraggiose, senza indugiare nel “greenwashing”. Il ruolo del Festival, momento importante di mobilitazione e di riflessione.
di Donato Speroni
Dobbiamo diventare radicali. Non mi riferisco all’impegno per salvare l’emittente, impegno che condividiamo perché Radio radicale rappresenta una parte importante della storia e della cultura politica di questo Paese, e neppure alle battaglie degli eredi di Marco Pannella e del compianto Massimo Bordin, ma a un atteggiamento generale che non si accontenta più delle mezze misure. Lo ha spiegato bene su “Buone notizie”, l’inserto del Corriere della Sera, Mario Calderini, che insegna Social Innovation al Politecnico di Milano:
Ricorderemo questi mesi come quelli nei quali è diventato evidente, su scala globale, quale sia il prezzo vero e ultimo della non sostenibilità: lo sgretolamento delle istituzioni, lo svuotamento culturale e valoriale delle stesse e le conseguenti imprevedibili trasformazioni sociali e del nostro vivere civile. Indugio su questa riflessione dopo aver ascoltato Enrico Giovannini, in un recente dibattito presso la Fondazione Feltrinelli, e penso che benché avessimo previsto un conto salatissimo per la sostenibilità mancata, lo avevamo immaginato differito nel tempo e non certo in questa forma così improvvisa e violenta. E invece il frutto avvelenato di un modello di crescita non più sostenibile si presenta oggi ed improvvisamente in forma di disuguaglianza, esclusione e rabbia sociale. Da questo nasce l’urgenza e l’imperativo di ridefinire i termini dell’agenda di sostenibilità, passando dalla fase dell’advocacy e della narrativa alla fase della radicalità. Radicalità significa non accondiscendere, in campo finanziario o imprenditoriale,ad interpretazioni di maniera del concetto di sostenibilità, relegandolo ad una dimensione di marginalità e lateralità. [continua a leggere]
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