Ci sono luci e ombre, nell’analisi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che il presidente dell’ASviS Pierluigi Stefanini ha presentato giovedì 27 al governo, alla Commissione europea e all’opinione pubblica. Il Pnrr è un passo nella giusta direzione, ma non garantisce che gli Obiettivi dell’Agenda 2030 importanti per l’Italia siano davvero raggiunti. Sulla transizione ecologica, in particolare, ci sono pareri discordanti che riguardano i criteri per gli investimenti nelle rinnovabili, il ruolo dell’idrogeno e anche le eventuali minicentrali nucleari alle quali ha accennato il ministro Roberto Cingolani.
Su questi temi, del resto, la discussione è viva non soltanto in Italia. Le cronache di questa settimana fanno registrare il dissenso tra i 27 Paesi dell’Unione europea su come ripartire l’onere della decarbonizzazione al 55% entro il 2030 perché non tutti gli Stati sono allo stesso punto di partenza. Anche nel mondo delle grandi compagnie petrolifere c’è molto fermento. Il tribunale distrettuale dell’Aja ha condannato in prima istanza la Royal Dutch Shell a ridurre del 45% entro il 2030 non solo le sue emissioni dirette ma anche quelle dei suoi prodotti. Persino nell’azionariato di Exxon Mobil, il più grande e coriaceo gruppo petrolifero che per molto tempo ha negato il cambiamento climatico, si sta ora affermando una componente dell’azionariato che chiede una rapida uscita dai fossili.